sabato 20 dicembre 2008

Riferendomi al Blog di Alberto, volevo discutere anch'io riguardo al Mobbing, argomento studiato in Psicologia del Lavoro.

Il mobbing è, un insieme di comportamenti violenti (abusi psicologici, angherie, vessazioni, demansionamento, emarginazione, umiliazioni, maldicenze, ostracizzazione, etc.) perpetrati da parte di superiori e/o colleghi nei confronti di un lavoratore, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso. I singoli atteggiamenti molesti (o emulativi) non raggiungono necessariamente la soglia del reato né debbono essere di per sé illegittimi, ma nell'insieme producono danneggiamenti plurioffensivi anche gravi con conseguenze sul patrimonio della vittima, la sua salute, la sua esistenza.
Più in generale, il termine indica i comportamenti violenti che un gruppo (sociale, familiare, animale) rivolge ad un suo membro.
Mobbing sul lavoro
Questa pratica è spesso condotta con il fine di indurre la vittima ad abbandonare da sé il lavoro, senza quindi ricorrere al licenziamento (che potrebbe causare imbarazzo all'azienda) o per ritorsione a seguito di comportamenti non condivisi (ad esempio, denuncia ai superiori o all'esterno di irregolarità sul posto di lavoro), o per il rifiuto della vittima di sottostare a proposte o richieste immorali (sessuali, di eseguire operazioni contrarie a divieti deontologici o etici, etc.) o illegali.
Va sottolineato che l'attività mobbizzante può anche non essere di per sé illecita o illegittima o immediatamente lesiva, dovendosi invece considerare la sommatoria dei singoli episodi che nel loro insieme tendono a produrre il danno nel tempo. In effetti, l'ingiustizia del danno, vale a dire dell'evento lesivo non previsto né giustificato da alcuna norma dell’Ordinamento giuridico, deve essere sempre ricercata valutando unitariamente e complessivamente i diversi atti, intesi nel senso di comportamenti e/o provvedimenti.
Mobbing famigliare
Questa pratica è condotta all'interno delle dinamiche relazionali coniugali e familiari ed è finalizzata alla delegittimazione di uno dei coniugi e alla estromissione di questo dai processi decisionali riguardanti la famiglia in genere e nello specifico i figli.
Il mobbing familiare più frequente è quello che coinvolge le famiglie separate e viene messo in pratica da parte del genitore affidatario nei confronti di quello non affidatario al fine di spezzare il legame genitoriale nei confronti dei figli. Spesso questo comportamento ha come grave conseguenza la generazione nei figli della PAS (Parental Alienation Syndrome), ovvero la Sindrome da Alienazione Genitoriale.In alcuni casi, il mobbing familiare si presenta attraverso una serie di strategie "persecutorie" preordinate da parte di uno dei coniugi nei confronti dell'altro coniuge, allo scopo di costringere quest'ultimo a lasciare la casa coniugale o ad acconsentire, ad esempio, a una separazione consensuale, pur di chiudere rapporti coniugali fortemente conflittuali.
Conseguenze alla salute
Il mobbing non è una malattia ma può esserne la causa. La patologia psichiatrica più frequentemente associata è il disturbo dell'adattamento; esso si compone di una variegata sintomatologia ansioso-depressiva reattiva all'evento stressogeno. Fra le conseguenze rientrano la perdita d'autostima, depressione, insonnia, isolamento. Il mobbing è causa di cefalea, annebbiamenti della vista, tremore, tachicardia, sudorazione fredda, gastrite, dermatosi. Le conseguenze maggiori sono disturbi della socialità, quindi, nevrosi, depressione, isolamento sociale e, suicidio in un numero non trascurabile di casi.
Riferendomi al blog della mia amica Elisa, volevo parlare anch'io dell'analisi transazionale,dato che l'ho trovato un argomento piuttosto interessante..

La teoria originaria dell'analisi transazionale, così come venne elaborata da Berne, può essere considerata un'evoluzione in senso relazionale della psicoanalisi freudiana.
Le basi empiriche e fenomenologiche, insieme ad una impalcatura epistemologica sostenuta dal pragmatismo filosofico, ne fanno non solo una teoria della personalità, ma anche una teoria dello sviluppo e delle comunicazioni relazionali, estendendo soprattutto su questo versante la teoria freudiana, legata ad una visione meccanicistica del funzionamento della psiche, basata su una dinamica "idraulica" dell'apparato mentale, secondo il modello medico dell'ottocento positivista.
Berne tuttavia morì prima di aver potuto elaborare compiutamente molte delle questioni teoriche più importanti, che rimasero dunque aperte a contributi e sviluppi successivi. Priva dell'autorità del suo creatore, la teoria analitico transazionale subì negli anni '50 un vero e proprio "assalto integrativo" da parte di studiosi e terapeuti che arricchirono l'impianto teorico originario con assunti e soprattutto tecniche prese a prestito da altre scuole teoriche, prima fra tutte la psicoterapia gestaltica, allontanandosi dalle radici psicodinamiche e assumendo una direzione decisamente cognitivo-comportamentale.
L'analisi transazionale sta subendo negli ultimi anni un ulteriore sviluppo, soprattutto ad opera di studiosi anglosassoni, verso una rielaborazione teorica basata sul confronto con le più recenti acquisizioni operate dalle neuroscienze, in particolare le basi neurofisiologiche degli stati dell'io, l'accesso alle memorie implicite e la formazione delle memorie episodiche.

tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Analisi_transazionale

mercoledì 3 dicembre 2008


Un altro libro che consiglio di leggere è "Autoformazione - autonomia e responsabilità per la formazione di sè nell'età adulta" di Quaglino.




Gian Piero Quaglino (a cura di), Autoformazione. Autonomia e
responsabilità per la formazione di sé, Cortina Raffaello, Milano,
2004; pp.200
Recensione di Silvia Zanetti - 31 luglio 2007
Abstract
Questo volume è una raccolta di alcuni dei più significativi contributi internazionali, di riflessione teorica e di proposta metodologica, sul tema del l'autoformazione, da cui affiora uno scenario multiforme e articolato di nuove opportunità di sviluppo per la formazione. Attraverso i dieci contributi si può intendere la complessità che il campo dell’autoformazione ha sviluppato nel corso degli ultimi trent’anni di ricerche, di studi e di dibattiti sul tema e individuare i dubbi e le zone d’ombra ancora da scandagliare.
Il coro unanime che emerge da tutti gli interventi è che l’autoformazione guida a divenire responsabili e protagonisti del proprio apprendimento ed è necessaria per la sopravvivenza dell’uomo e di tutto il genere umano.

Il testo, curato da Gian Piero Quaglino, consiste in un’antologia di contributi di vari autori sul tema dell’autoformazione. Gli interventi sono stati scelti in base al periodo storico e in base ai vari approcci con il fine ultimo di individuare un filo conduttore che leghi le diverse interpretazioni, che spaziano dall’istruzione supportata da strumenti tecnologici a un processo naturale di apprendimento,generato dall’esperienza, al fine di formarsi. I vari contributi sono preceduti da unaprefazione di Quaglino in cui ripercorre lo sviluppo storico del concetto di
autoformazione, prendendo spunto dai vari interventi.
Il contributo con il quale si apre l’opera è tratto da un testo di Knowles, Selfdirected learning, in cui l’autore espone la sua concezione di apprendimento autodiretto e motiva la sua convinzione che tutti gli individui necessariamente debbano “apprendere ad apprendere”. Infatti,l’apprendimento autodiretto risulta necessario per la sopravvivenza degli individui e del genere umano, poiché in questa società l’apprendere autonomamente è ritenuto una competenza
fondamentale. Da ciò ne deriva che l’obiettivo primario dell’educazione deve essere l’imparare ad apprendere in modo autodiretto e che apprendere significa utilizzare qualsiasi risorsa la nostra esperienza di vita ci offre, poiché l’apprendimento è un processo che perdura per tutta la vita. Quindi per Knowles l’essenziale è imparare ad imparare e la teoria andragogica sta alla base dell’apprendimento autodiretto che si esprime come capacità, da parte dei discenti, di autogestirsi. Gli individui sono motivati all’ apprendimento autodiretto da fattori endogeni, come il desiderio di autorealizzarsi e la curiosità intellettuale.
Per Mezirow l’ apprendimento autodiretto costituisce il concetto principale efondamentale dell’educazione degli adulti, ma per poterlo comprendere è necessarioprima distinguere tre funzioni dell’apprendimento adulto, tra loro interdipendenti:l’apprendimento strumentale, che utilizza il problem solving, comporta sempre una previsione e il significato è ricavato per deduzione; l’apprendimento dialettico,usato per comprendere i messaggi comunicatici dagli altri attraverso i vari linguaggi, l’inferenza che si determina è “abduttiva” e produce una spiegazione
ipotetica; l’apprendimento autoriflessivo, attraverso il quale giungiamo a conoscere noi stessi e l’azione è emancipativa . L’autore accenna anche alla “teoria della coerenza” , introducendo il concetto di prospettiva di significato che consiste nella struttura di asserti dentro i quali la nostra passata esperienza riconosce, inserisce e trasforma la nuova esperienza. L’individuo utilizza tale struttura come un quadro di riferimento che è formato da un sistema di schemi di significato, cioè un insieme di aspettative tra loro collegate che governano il nostro modo di vivere. Processo
importante è la trasformazione della prospettiva di significato che consente all’adulto di prendere consapevolezza delle cause che hanno determinato ruoli e relazioni di dipendenza e ad avviare delle azioni per superarli. All’interno dei tre modelli di apprendimento operano altrettanti processi: il primo si attua all’interno degli schemi di significato; il secondo consiste nell’apprendimento di nuovi schemi di significato; il terzo si riferisce all’apprendimento mediante la trasformazione di uno schema di significato o di gruppi di schemi di significato o di una prospettiva di significato. Capacità specifica dell’adulto è la “riflessività critica”, intesa quale presa di coscienza e valutazione critica dei propri assunti e schemi di significato, che gli permette di operare trasformazioni di significato. Uno dei compiti più significativi dell’educazione permanente è, secondo l’autore, promuovere un apprendimento rivolto alla trasformazione della prospettiva.
Secondo Pineau tra l’eteroformazione, indotta dall’azione degli altri, e l’ecoformazione, operata dai fattori ambientali, collegata a queste ma distinta esiste un’altra forma di formazione, l’autoformazione che è esercitata a livello individuale.
La formazione, per l’autore, è una funzione dell’evoluzione umana che viene esercitata continuamente poiché continua è la ricerca, da parte degli individui, della“buona forma”. L’autoformazione presenta una componente riflessiva che permette di realizzare un “anello vitale”. Autoformazione significa impadronirsi del potere di formazione in modo autoreferenziale, poiché l’individuo è nel contempo soggetto, cioè colui che esercita la formazione, e oggetto di formazione. Pineau denuncia lo scarso sviluppo degli studi sull’autoformazione poiché troppo centrati sull’eteroformazione che, per anni, ha puntato l’attenzione sugli apprendimenti
compiuti nei periodi della crescita biologica, mentre veniva negato ogni possibile
cambiamento durante l’età adulta. Per rimediare a tale negligenza, si sonosviluppati i modelli sequenziali secondo i quali lo sviluppo è determinato dalle interazioni che si stabiliscono tra gli individui e tra gli individui e l’ambiente, e si
attua per sequenze, tappe o cicli. L’autore si sofferma ad analizzare, all’interno di
tali modelli, quello “spaziale”, di Riverin-Simard, secondo il quale l’adulto vive “degli
stadi pressoché permanenti di interrogazione” (p. 31), quindi il cambiamento non
costituisce un evento episodico, ma diventa una costante. L’autore conclude
affermando che l’educazione permanente dovrebbe occuparsi del soggetto, degli
altri individui e dell'ambiente poiché la formazione è da intendersi come auto-ecoformazione.
Tremblay e Theil nel loro intervento propongono un’interessante analisi comparativa
tra la teoria dell’enaction di Varela e un modello di autodidatticismo.
L’apprendimento autodiretto in un contesto autodidattico viene effettuato da un
individuo senza il sostegno di agenti educativi esterni. Dopo una breve disamina
sugli studi e ricerche effettuati negli ultimi decenni e la descrizione di alcuni modelli
di apprendimento autodiretto, gli autori espongono i concetti principali
dell’autodidassi che essi stessi hanno potuto determinare in base ai dati ottenuti in
una loro ricerca. I concetti emersi sono quattro così designati : sintassi non
algoritmiche, ad indicare che un processo autodidattico rivela un ordine non lineare
poiché l’ambito in cui si svolge, cioè l’ambiente dove apprende l’autodidatta, è un
contesto casuale; ubiquità nelle funzioni e nei ruoli, nel senso che nell’autodidassi
coesistono delle duplici funzioni, come azione-riflessione, teoria-pratica,
apprendimento-insegnamento, docente-studente; circostanze organizzatrici, già
definito da Spear, sottolinea l’importante influenza esercitata dall’ambiente sullo
studio e apprendimento dell’autodidatta e nel contempo pone in evidenza la
componente casuale del processo di autodidassi, poiché le circostanze in cui si trova
ad apprendere l’individuo influenzano le strategie ed i mezzi da lui utilizzati;
interiorizzazione di regole ed operazioni, che tiene in considerazione la natura
individuale, interiore ed autoreferenziale di un processo di autodidassi e le
caratteristiche di metaapprendimento. Stabilendo una comparazione tra i tre
principali concetti della teoria dell’enaction di Varela - autopoiesi, apparizione e
accoppiamento strutturale – e i concetti sopra esposti, gli autori riscontrano
interessanti analogie tra il concetto sintassi non algoritmiche e l’apparizione, tra l’
ubiquità nelle funzioni e nei ruoli e l’autopoiesi, tra circostanze organizzatrici e l’
accoppiamento strutturale, tra l’ interiorizzazione di regole ed operazioni e
l’autopoiesi. Gli autori concludono proponendo il proprio modello di autodidassi
come incentivo per l’ispirazione di una definizione più completa di autodidassi.
Secondo Jarvis per capire il concetto di autofomazione bisogna prima analizzare il
significato di autonomia d’azione che le soggiace. Poiché non tutti gli individui sono
in grado di gestire uno spazio considerevole della propria vita, ne deriva che
l’apprendimento completamente autodiretto può attuarsi nei casi in cui il controllo
dello spazio è demandato. Solo nel proprio spazio privato può verificarsi
l’apprendimento autodidattico poiché gli individui possono controllarlo
maggiormente. Più le persone possono disporre di maggior tempo libero, più
possono controllare il proprio spazio personale, più possono dedicarsi
all’apprendimento autodiretto. L’apprendimento autonomo, secondo l’autore, può
attuarsi grazie all’autodeterminazione che si configura secondo due dimensioni:
l’esercizio della capacità critica e l’apertura alla creatività. Tuttavia, perché
l’autodeterminazione si possa attuare è necessario che l’individuo possa controllare
il proprio spazio d’apprendimento.
Brockett concentra la sua analisi sulla resistenza che generalmente si manifesta nel
campo dell’educazione degli adulti verso l’autodirezione. A tale proposito prende in
considerazione dieci tra i più diffusi “miti” sull’ autodirezione, cercando di sfatarli,
come per esempio la convinzione che “l’autodirezione è un concetto assoluto che
non ammette le mezze misure” o che “l’autodirezione implica l’apprendimento
solitario” o che “facilitare l’ autodirezione è una comoda via d’uscita per il docente”.
Nell’ultima parte del suo intervento lo studioso cerca di chiarire alcuni equivoci
ricorrenti in tema di autodirezione e umanesimo, in quanto i principi
dell’umanesimo – come libertà, autonomia, responsabilità – sono compatibili con il
concetto di autodirezione. Brockett esamina in particolare tre critiche che vengono
mosse all’umanesimo e che potrebbero creare resistenza all’autodirezione, e
precisamente: l’umanesimo negando l’esistenza del soprannaturale andrebbe contro
i principi delle varie religioni; l’umanesimo sarebbe troppo autoreferenziale;
l’umanesimo non si presta alla misurazione della performance osservabile poiché
considera la persona nella sua globalità.
Galvani inizia il proprio intervento descrivendo tre approcci dell’autofomazione:
tecnico-pedagogico, incentrato sull’acquisizione individuale di informazioni;
sociopedagogico, che considera la dimensione educativa della formazione la quale
sviluppa un processo permanente di apprendimeto; bio-cognitivo, che comprende
tutte le dimensioni del sistema persona e, attraverso l’acquisizione di
consapevolezza dell’azione comune di sé, degli altri e delle cose, porta al processo
vitale e permanente di realizzazione di una “forma di sé”. Secondo l’approccio biocognitivo
l’autoformazione è un processo che si sviluppa tra tre poli, tra loro
interagenti, costituiti da: eteroformazione, ecoformazione e autoformazione.
Galvani passa quindi ad esporre il metodo del blasone, ideato da A. de Paretti, per
esplorare la dimensione proiettiva dei formandi, e ripreso dall’autore nel corso di
una sua ricerca sull’autoformazione. L’autore dopo aver esaminato e messo in
rilievo i pregi del metodo, lo propone come complementare al metodo delle storie di
vita per indagare la dimensione esistenziale della formazione.
Garrison rileva che la concettualizzazione finora proposta dell’apprendimento non
ha tenuto in giusta considerazione il processo di apprendimento, ragion per cui nel
suo intervento presenta un modello di apprendimento autodiretto organico, da lui
sviluppato, che considera le dimensioni dell’autogestione, dell’automonitoraggio e
della motivazione che si trovano accomunate in un ambito educativo. L’autore per
esigenze espositive tratta le tre dimensioni separatamente, ma sottolinea la loro
stretta interconnessione. L’ autogestione consiste nel controllo delle attività di
apprendimento, cioè obiettivi, risorse, tempi e strumenti, che va operato in
modalità collaborativa tra il docente e il discente. L’ automonitoraggio consiste
nell’assunzione di responsabilità, da parte del discente, della “costruzione di un
significato personale”, cioè inclusione dei nuovi concetti all’interno della matrice
cognitiva preesistente. Automonitorare il proprio processo di apprendimento
significa anche controllare e verificare che tale integrazione si attui in modo efficace
e che gli obiettivi di apprendimento siano perseguiti. La motivazione assume un
ruolo determinante nella messa in moto e nel mantenimento dell’ impegno
finalizzato all’apprendimento e al raggiungimento degli obiettivi cognitivi. L’autore
distingue due tipologie di motivazione: quella “d’ingresso”, che fa sorgere l’impegno
per il raggiungimento di un particolare obiettivo e sollecita l’intenzione di agire;
quella “al compito” che spinge a impegnarsi sulle attività e sugli obiettivi e a
perdurare nel perseguirle. Gli studenti generalmente presentano una motivazione
d’ingresso più elevata se ritengono che gli obiettivi di apprendimento possono
soddisfare al meglio i loro bisogni e siano effettivamente attuabili. Concludendo
l’autore ritiene l’autodirezione un processo utile per il raggiungimento di risultati
educativi efficaci e significativi. La motivazione all’apprendimento e la possibilità di
controllo favoriscono l’autodirezione e di conseguenza l’apprendimento continuo.
Inoltre, l’apprendimento autodiretto sviluppa, tramite l’automonitoraggio, la
consapevolezza metacognitiva e pone le condizioni perché i discenti “imparino a
imparare”.
Hiemstra definisce apprendimento autodiretto qualsiasi forma di studio in cui gli
individui “assumono la responsabilità principale in ordine alla pianificazione,
all’implementazione o alla valutazione dello sforzo” (p. 125). Nel suo intervento
approfondisce il concetto di “responsabilità personale” e a tale proposito illustra il
modello ORP (orientamento alla responsabilità personale), elaborato dall’autore in
collaborazione con Brockett. Un elemento del modello è costituito
dall’apprendimento autodiretto , o come preferisce denominarlo l’autore,
autodirezione nell’apprendimento, che costituisce il processo di insegnamentoapprendimento,
cioè il metodo, i fattori esterni al discente; altro elemento è
l’autodirezione del discente , cioè le caratteristiche peculiari della personalità del
discente, la sua capacità di controllare le proprie reazioni alle diverse situazioni, il
suo empowerment; infine, l’ultimo elemento è rappresentato dall’insieme del
contesto sociale e i primi due elementi, cioè l’insieme dei fattori interni, che
esortano l’individuo ad assumersi le responsabilità, e dei fattori esterni che
facilitano il processo di assunzione di responsabilità. L’autore passa quindi ad
esporre le caratteristiche della didattica individualizzata, una metodica da lui
sviluppata in collaborazione con Sisco, atta a favorire nei discenti assunzioni di
responsabilità: descrive delle applicazioni pratiche di tale metodica proponendo
degli schemi dettagliati ed articolati su diversi aspetti del processo di
insegnamento-apprendimento, sui quali i discenti possono esercitare un certo
controllo, e su strategie, strumenti e tecniche che i discenti autodiretti possono
utilizzare.
Kyung Hi nel suo intervento propone una rilettura, attraverso la prospettiva
confuciana, dell’autoapprendimento al fine di sostenere che tale forma di
apprendimento dovrebbe essere sostenuta dal desiderio di migliorare per realizzare
il suo vero sé. Tale percorso realizzativo richiede oltre ad impegno una notevole
carica morale ed altruistica. Infatti, attraverso l’esposizione dei “tre elementi” del
confucianesimo – manifestare il proprio carattere, amare la gente, perseguire il
bene supremo – e del concetto confuciano del “sé”, l’autore giunge a delineare le
caratteristiche dell’autoapprendimento, quali l’assunzione di responsabilità di se
stessi e trovare direttamente la via, processi che vanno attuati da sé e dentro di sé.
M.C.Josso propone una serie di osservazioni e configurazioni teoriche conseguite a
seguito di alcune ricerche effettuate sulla formazione secondo un approccio
biografico. L’immagine che utilizza è quella del camminare verso di sé , per
sottolineare l’aspetto sia temporale sia processuale della formazione la cui meta,
non è solo la conoscenza di noi stessi, ma anche la presa di coscienza del proprio
sé. Un metodo per raggiungere tale meta è la conoscenza della propria storia
personale attraverso il lavoro biografico che si sviluppa per mezzo della ricognizione
di tre importanti processi di: formazione, conoscenza e apprendimento. Dalla
descrizione di queste tre fondamentali tappe del racconto biografico, emerge come
la responsabilità e l’autonomia siano considerate dall’autrice importanti dimensioni
del percorso autoformativo che permettono una comprensione più profonda della
propria storia personale. La serie di interventi, iniziata con Knowles, che hanno
cercato di illustrare un percorso di ricerca che dura da quasi trent’anni, termina con
S.B. Merriam che denuncia la mancanza di un modello o teoria dell’apprendimento
adulto in grado di interpretare ed esporre tutto ciò che è stato scoperto e che si
conosce sugli adulti, sul processo di apprendimento e sugli ambiti in cui si attua. Le
uniche teorie che l’autrice ritiene ancora fondamentali per l’apprendimento degli
adulti sono l’andragogia e l’apprendimento autodiretto che, nel suo intervento,
cerca di rivisitarle per verificarne l’attualità. Dopo una breve esposizione del
contesto in cui sono stati elaborati l’andragogia e l’apprendimento autodiretto,
passa ad analizzarne le principali critiche mosse dal mondo accademico e a
rivalutarne i punti di forza. Sia l’andragogia che l’apprendimento autodiretto sono
stati criticati per la loro eccessiva centratura sul singolo discente, ignorando
completamente l’ambiente storico e sociale in cui si attua l’apprendimento. Tuttavia
l’autrice ritiene che “ambedue questi “pilastri” della teoria dell’apprendimento
adulto continueranno ad alimentare il dibattito, le polemiche e la ricerca e quindi
ad arricchire ulteriormente la nostra conoscenza dell’apprendimento adulto.”
Il testo è corredato da una prefazione redatta da Quaglino nella quale,
ripercorrendo i vari contributi degli autori, conduce egli stesso una feconda ed
approfondita riflessione sul concetto di autoformazione.
L’opera nel complesso si presenta ricca di analisi, considerazioni e proposte che
forniscono una panoramica storica dell’evoluzione del concetto di autoformazione
secondo differenti approcci, inoltre offre numerosi spunti per nuovi studi e ricerche
in questo campo.

Un pò di storia sull' e-learning...

La prima generzaione risale alla metà dell'Ottocento e si serve dello sviluppo del sistema postale per inviare materiale didattico per corrispondenza. L'Europa, e l'Australia scoprono la possibilità di effettuare corsi a distanza via posta per coprire aree geografiche estese, a forte dispersione di studenti o carenti nelle infrastrutture.
Nei primi decenni del Novecento la diffusione e la pervasività della radio consentono di realizzare i primi corsi educativi via etere. Anche il filo telefonico viene utilizzato come canale, per lo più di supporto alla corrispondenza, per la didattica a distanza.
La seconda generazione si sviluppa negli anni Sessanta e utilizza la tv. L'Europa di quegli anni, un pò in ritardo rispetto agli Usa, affida alla tv il compito non solo di intrattenere ma anche di educare il pubblico.
L'invenzione e la commercializzazione delle videocassette permette poi di utlizzare dispositivi portatili su cui registrare e fruire corsi di autoapprendimento senza vincoli di spazio e di tempo.
la terza generazione è resa possibile dalla digitalizzazione. Lo sviluppo tecnologico produce differenti sperimentazioni ed elaborazioni dei prodotti "Formazione A Distanza" . I primi calcolatori, i pc e le reti telematiche rendono possibili la realizzazione, rispettivamente, dei primi software didattici, dei corsi su floppy disk e su cd-rom e, infine, dei corsi di e-learning, basati sull'utilizzo di internet.

Un buon formatore deve essere in grado di saper argomentare,discutere e replicare.

Consiglio un libro, a mio avviso, molto interessante da leggere: "Botta e risposta" di Adelino Cattani.

Discutere vuol dire valutare i pro e i contro di una proposta, difendere la propria opinione e fare sì che la controparte l'accetti.
E' una situazione di antagonismo, di combattimento civilizzato.In questo libro dopo aver ripercorso brevemente la tradizione retorica legata alle dispute, che risale all'antichità, l'autore offre una tipologia del dibattere, compresa fra gli estremi della cooperazione e della competizione. Fornisce poi con arguzia una serie di suggerimenti che includono un vero e proprio decalogo del polimista e diversi modi di dire il falso dicendo il vero, illustrando gli usi dello humor nella manomissione e nei fini persuasivi alle parole, dei fatti, dei nessi logici, e le risorse della manipolazione retorica.
Discutere è l'arte di alternare botte e risposte efficaci; e tuttavia questo non è un manuale di guerra, ma vuole suggerire che il dibattito è una delle forme centrali della convivenza, segno e strumento di libertà.
Inizio col definire ciò che diventerò al termine di questi primi tre anni di università: un formatore, o meglio nel mio caso una formatrice.

Definizione.
Nella nuova cultura organizzativa del sistema formativo il formatore è un docente che opera in ambiti pluralistici (agenzie formative, strutture aziendali, società di consulenza e di formazione). In altri termini, il ruolo del Formatore è di costruire e/o consolidare i legami tra formazione e lavoro, nel qualificare, riqualificare e aggiornare le forze di lavoro.
Il Formatore può assumere funzioni più o meno ampie o specializzate a seconda della richiesta, delle sue competenze e dell'ampiezza e differenziazione funzionale presente nell'équipe in cui opera. In ragione della organizzazione necessaria al perseguimento degli obiettivi formativi può cioè, occuparsi solo della gestione didattica oppure dell'analisi dei fabbisogni, della progettazione, della selezione dei candidati, della valutazione, del monitoraggio, etc. Un Formatore può trovarsi a realizzare iniziative di formazione anche molto diverse tra di loro (quanto a contenuti, destinatari, etc.) e deve essere in grado di individuare le metodologie e gli strumenti più adeguati per fronteggiare le necessità della committenza e dell'utenza.

Attività e compiti
Il Formatore deve essere in grado di riconoscere e individuare modalità formative finalizzate a mettere in relazione le dinamiche qualitative della domanda e dell'offerta di lavoro. Questa figura professionale elabora, realizza e controlla le azioni formative individuando e attuando obiettivi, contenuti, metodologie, procedure, strumenti e forme di verifica delle attività di formazione, collegandole all'evoluzione del panorama professionale e del mercato del lavoro.
Può curare direttamente il progetto formativo (assumendo le funzioni e i compiti del progettista di formazione), il coordinamento tecnico e pedagogico del progetto (assumendo i compiti e le funzioni del coordinatore della formazione), la gestione delle azioni formative (lezioni, esercitazioni, etc.) e la valutazione dei risultati. Partecipa, inoltre, in collaborazione con lo staff di gestione, progettazione ed analisi alla elaborazione di progetti formativi nonché alla gestione delle attività formative in aula relativamente all'erogazione di competenze trasversali e di base previste nel progetto formativo. Qualora tali funzioni e compiti siano distinte, il Formatore (cui spetta il compito specifico della gestione didattica degli interventi) deve essere in grado di entrare in relazione con gli altri esperti e specialisti della formazione.
I compiti del Formatore - qualora non intervengano altri specialisti nelle diverse fasi del processo di programmazione, gestione e valutazione degli interventi - consistono nel: comprendere e interpretare le esigenze della committenza ed effettuare una analisi dei bisogni formativi dei destinatari; predisporre un progetto formativo coerente con le finalità, i tempi e le risorse disponibili; identificare e contattare le persone necessarie per realizzare il progetto, discutere e decidere con i formatori e gli esperti i tipi e le modalità degli interventi, i sussidi didattici, gli strumenti di valutazione e deve predisporre quanto necessario in termini di articolazione didattica e di valutazione dei risultati. Egli interviene, in situazione reale, in qualità di formatore o esperto di un particolare settore. Inoltre ha il compito di: verificare la coerenza delle risorse e predisporre, se necessario, un rendiconto amministrativo; stendere una relazione pedagogico-didattica sull'andamento e i risultati dell'intervento formativo; utilizzare, a scopo di autoformazione e come sussidi per la professione, reti di informazione nazionali ed internazionali, selezionare documenti e bibliografie, utilizzare riviste specializzate; curare i rapporti interpersonali con i responsabili e i singoli componenti dell'équipe o del Centro di formazione.

Situazione di lavoro.
Il Formatore può operare come libero professionista (in maniera del tutto autonoma oppure all'interno di una società di consulenza e di formazione o, ancora, collaborando con enti e istituti pubblici di formazione come quelli gestiti dalle Regioni) oppure alle dipendenze (di un'impresa, di un'agenzia formativa, di una società - anche a carattere cooperativo - specializzata): attualmente, circa metà dei formatori lavora all'interno di una organizzazione mentre l'altra metà opera come consulente, cioè come libero professionista. I dipendenti di imprese private sono spesso inquadrati a livelli elevati (anche nelle fasce dirigenziali) a cui corrisponde una retribuzione piuttosto consistente. Per quanto riguarda i liberi professionisti, i livelli retributivi dipendono dal volume d'affari e dalla quotazione individuale di mercato. Ai massimi livelli della professione è possibile percepire fino ad oltre 1000 euro al giorno (al lordo delle imposte) anche se in media i compensi sono assai meno elevati (a partire da un minimo di circa 50euro l'ora). In ogni caso, l'attività svolta dal Formatore richiede uno stretto contatto con gli altri componenti dell'équipe di lavoro, i committenti e, ovviamente, i destinatari finali della propria azione (gli utenti). Il carico e gli orari di lavoro dipendono dal tipo di impegno. Sono comunque caratterizzati da forte flessibilità (soprattutto per i consulenti). Il contratto collettivo di lavoro in vigore per i formatori del sistema pubblico stabilisce un orario di 36 ore settimanali, suddivise tra attività di docenza (18/22 ore) e attività complementari (18/14 ore).

Competenze necessarie. Il Formatore deve possedere una buona cultura metodologico-didattica e competenze ed abilità specifiche di carattere sociale, economico e pedagogico. Questo richiede il possesso di competenze disciplinari (in pedagogia, andragogia, elementi di psicologia) e multidisciplinari (in scienze organizzative, discipline "mercatolavoristiche"). In generale, il Formatore ha padronanza degli strumenti di progettazione formativa, conoscenza del quadro normativo - locale, nazionale e comunitario - in materia di formazione professionale, capacità di svolgere ricerca scientifica e capacità relazionali (con gli altri esperti di formazione, con gli utenti, con la committenza, con i soggetti istituzionali, etc.).

link: http://www.opsonline.it/psicologia-209-209.html

martedì 2 dicembre 2008

Mi presento!

"Sapere,saper fare,sapere Essere"...tante volte mi sono trovata davanti a questa frase durante tutti questi anni... la trovavo scritta nei libri; e molte volte l'ho sentita pronunciare anche dai miei insegnati.
E' una frase che mi ha colpita perchè racchiude le tre componenti fondamentali per la vita di una persona, specie in ambito professionale.
Il "Sapere", riguarda la conoscenza teorica, il quadro di riferimento in cui inserire il proprio operare. Una buona conoscenza del paradigma di riferimento, nonché della specifica metodologia della scuola scelta è fondamentale per poter svolgere accuratamente il proprio lavoro.
Il"Saper fare" è la pratica.E' la gestione delle dinamiche interpersonali, il rispecchiamento e l' accoglienza delle emozioni, la lettura del linguaggio corporeo, la gestione delle proiezioni. Tutte queste sono abilità che si sviluppano nell'ambito di un gruppo di formazione, attraverso simulazioni di sedute di counseling e tanto esercizio.
"Saper essere" è il punto più delicato, riguarda la capacità dell'individuo di "esserci nella relazione", e quindi di conoscere bene se stesso, prima di tutto. Il lavoro interiore in prima persona è parte integrante del percorso formativo alla professione di counselor, che deve sviluppare doti di introspezione e acquisire una buona dimestichezza con le problematiche personali ancora irrisolte. Tutti quegli atteggiamenti che dovranno essere utilizzati con un cliente, dovrà metterli in atto prima di tutto con se stesso: ascolto, empatia, accettazione e rispetto. Dopodiché sarà l'esperienza stessa a trasformare il potenziale counselor, con il suo bagaglio tecnico e le sue qualità personali, in un buon professionista.
A mio avviso il "Saper essere" è quello più importante fra i tre, perchè l'uomo può raggiugere i suoi obiettivi solamente quando raggiungerà la piena consapevolezza di sè.

Il mio blog vuole trattare gli argomenti che più mi hanno catturato la mia attenzione nel mio percorso di studi, in ambito educativo, formativo e psicologico.